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I mammiferi

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01/10/2011

I mammiferi

Dalla cima delle dune di Shifting Sands, nella pianura Africana di Serengeti, un milione di mammiferi è in movimento. Gnu. Zebre. Gazzelle. La pianura è un’unica macchia nera al galoppo. È la stagione del parto per lo Gnu e molte di queste giganti antilopi barbute hanno neonati da trascinare con sé. Altre camminano con le pance gonfie per l’imminente nascita. Da una certa distanza questo movimento sembra una marcia serena e costante verso il sud-est, dove le recenti piogge hanno reso i pascoli più verdi. Ma uno sguardo attento rivela i particolari di una situazione ben più drammatica.

Una giovane gazzella di Grant si precipita improvvisamente fra i branchi di Gnu, seguita molto attentamente dalla madre. Una iena corre all'inseguimento. La madre rallenta e si muove in modo evasivo per distrarre il predatore affamato. Ma l’animale inesperto fa una mossa sbagliata, mosso dal panico. In pochi istanti cade vittima delle mascelle della iena. A poca distanza, con le orecchie tese, la madre è impotente. Poi, come per rifarsi della frustrazione, attacca due sciacalli sul luogo del delitto.

“Deve provare un’emozione, ma non c'è modo di provarlo”, dice Patricia Moehlman, il biologo della fauna selvatica che mi ha portato a Shifting Sands, una duna alta tre metri e mezzo che sta migrando lentamente attraverso la pianura. Continua Moehlman, “lei è una madre. Il suo cervello non potrà funzionare come il nostro, ma penso provi del dolore, paura. E certamente stress. Ci sentiamo vicini a lei perché è anch’essa un mammifero”.

Le donne locali Masai considerano la duna come un sito sacro di fertilità. Moehlman lo chiama “un posto di pellegrinaggio”. Effettivamente, nessun posto sulla terra offre un'abbondanza più spettacolare di questi animali da pelliccia che allattano al seno, particolarmente quando gli Gnu sono in marcia. Ma gli Gnu sono solo una delle attrazioni. In questa zona dell’Africa sono innumerevoli le specie dei mammiferi che pascolano, galoppano, predano e si rotolano.

Nel cratere vicino a Ngorongoro, una madre di ippopotamo annusa il suo neonato rosa in uno stagno fangoso, mentre due leoni si accoppiano tranquillamente lungo il ciglio della strada. In un boschetto di alberi d'acacia un gruppo di giraffe, membri di una famiglia di mammiferi che fino a 20 milioni anni fa erano i piccoli abitanti della foresta, si cibano ora dai rami alti. Pochi chilometri più in là, gli elefanti— che gli scienziati oggi affermano potrebbero derivare proprio da uno dei più vecchi lignaggi dei moderni mammiferi—si ammucchiano per un bagno di mezzogiorno in un ruscello gonfiato dalla pioggia. Le scimmie, furbe e svelte, saltano giù dagli alberi per rubare il cibo da un furgone di turisti che hanno dimenticato lo sportello aperto. Nel frattempo, uno dei pochi rinoceronti neri sopravvissuti nella zona vaga furtivamente attraverso l’erba alta.

Così tanti mammiferi - così tante forme e comportamenti - affollano questa terra che è difficile credere che due a caso possano discendere dallo stesso antenato. Ciò nonostante, l'ippopotamo anfibio, con la sua dieta vegetariana di 45 chili di erba a notte, divide un lignaggio comune con il ratto talpa glabro lungo solo 7 centimetri e mezzo - un animaletto sotterraneo che mastica rumorosamente i tuberi e vive come una termite in grandi colonie dominate da una regina.

In fondo tutti i mammiferi sono collegati tra loro. Il primo mammifero noto è il Morganucodontids, piccola creatura della dimensione di un toporagno che visse all’ombra dei dinosauri 210 milioni di anni fa. Si trattava di uno dei numerosi lignaggi di mammiferi emerso a quel tempo. Tutti i mammiferi viventi oggi, compresi noi, discendono da una linea che è sopravvissuta. Durante i successivi 145 milioni di anni di evoluzione, il predominio dei dinosauri ha fatto sì che le dimensioni dei nostri antenati mammiferi non superassero quelle di un gatto. Ma quando un catastrofico asteroide o una cometa — forse più comete insieme, come alcuni scienziati vanno ora sostenendo — mise fine al regno dei dinosauri, 65 milioni di anni fa, i mammiferi ebbero la loro più importante opportunità evolutiva. Con i dinosauri fuori gioco, i mammiferi poterono iniziare a sfruttare a loro volta le risorse del pianeta. A pochi milioni di anni dall’impatto, gli affioramenti fossili danno testimonianza di una vasta diversificazione nel mondo dei mammiferi.

Come fecero a trasformarsi quelle piccole creature in una gamma di esseri viventi che comprende l'ippopotamo e il ratto-talpa, così come l’enorme panorama attuale di mammiferi dotati di pelliccia, zoccoli e zanne, o di quelli senza pelo che nuotano negli oceani, o ancora, quelli come me, che attraverso questa prateria con una Land Rover?

Solamente gli esseri umani possono porsi questa domanda, o sperano di darvi risposta. Noi siamo, in un certo senso, gli ultimi mammiferi. Senza dubbio condividiamo i tratti importanti del volto con i primi mammiferi, tratti che stavano evolvendosi anche quando i morganocudonti andavano a caccia fra i dinosauri: noi siamo a sangue caldo. Abbiamo mascelle speciali i cui cardini si sono formati presto nella nostra evoluzione per creare le ossa dell’ orecchio che ci hanno permesso di sentire meglio degli altri animali. Abbiamo una struttura dentale complessa che ci permette di macinare e masticare il nostro cibo in maniera tale da assorbirne il maggior numero di principi nutritivi. Abbiamo i capelli. Siamo madri eccellenti cui l'evoluzione ha fornito adattamenti fisici come seni e una nascita placentare che dà ai giovani mammiferi un vantaggio all’inizio di una gara importante. Noi umani siamo gli esseri che si sono evoluti in tempi più recenti, ed usiamo i nostri cervelli di mammiferi per ragionare e risolvere problemi, sappiamo lottare per degli scopi oltre che per i nostri bisogni fondamentali. Chiediamo notizie sul nostro passato e ci domandiamo che cosa potrebbe riservarci il futuro.
Dal grattare nella polvere a decifrare il DNA - come siamo arrivati fin qui?

Questa domanda non ha mai avuto una risposta facile, ma oggi nuove scoperte sui fossili e nuovi importanti strumenti stanno illuminando il nostro lontano passato come mai prima. Meno di mezzo secolo fa, provare a capire l'evoluzione mammifera era come esplorare l'universo con un telescopio primitivo. Ma oggi l’analisi ad alta velocità di prove genetiche, la ricostruzione scrupolosa dei climi passati e dei movimenti continentali e un’attenta ricerca su ossa spesso minuscole stanno creando una nuova comprensione che sfida alcuni presupposti ai quali ci eravamo affezionati.

                                        

Verso la fine degli anni 60, è divenuto evidente che le masse continentali del pianeta furono una volta parte di un grande continente, chiamato Pangea. Attorno a 225 milioni di anni fa dalla Pangea iniziarono a staccarsi un continente nordico, chiamato Laurasia, e le sue controparti del sud, note col nome di Gondwana. Ogni continente portò il proprio carico di animali con sé. Sulla base delle testimonianze fossili, gli scienziati hanno ritenuto che gli antenati dei mammiferi oggi viventi comparvero nel Nord e poi migrarono verso sud fino all’Antartide e all'Australia, sfruttando i ponti di terra sviluppatisi in modo episodico fra i continenti.

Wyss di André, un paleontologo all'Università di Santa Barbara, in California, dice che questo è conosciuto come "il modello di evoluzione di Sherwin-Williams ", un riferimento al logo di una società di vernici che mostra il gocciolamento su di un globo, dal polo nord al polo sud.

Recentemente i paleontologi hanno studiato più attentamente la documentazione fossile dei continenti meridionali. Si tratta di trovare prove dell’esistenza di mammiferi di gran lunga più antichi di quelli rinvenuti nel nord, magari rigirando il mondo Sherwin-Williams a testa in giù.

Su un altro fronte, i genetisti che paragonano i geni dei mammiferi viventi hanno scoperto che certi gruppi ritenuti in precedenza essere dei cugini molto distanti — gli ippopotami e le balene — sono in realtà parenti prossimi. Hanno trovato anche la prova che i mammiferi iniziarono a diversificarsi negli attuali 18 ordini viventi molto prima di ciò che mostra la documentazione dei fossili. I fossili suggeriscono che i gruppi più moderni apparvero intorno a 60 milioni di anni fa, dopo l’estinzione dei dinosauri. Mentre i dati molecolari suggeriscono che l’inizio della diversificazione è iniziata circa 100 milioni di anni fa.

"È stato un completo sconvolgimento”, dice Mark Springer, un genetista dell’evoluzione presso l'Università di Riverside in California. “Noi abbiamo elaborato un albero genealogico molto diverso per i mammiferi."
Molti paleontologi rifiutano quasi con irritazione i risultati del DNA, affermando che deve esserci qualcosa di sbagliato negli orologi molecolari utilizzati dai genetisti per datare i loro ritrovamenti. I genetisti rispondono che i paleontologi non hanno ancora trovato i giusti fossili.

Gli scienziati che si fidano dei fossili e quelli che studiano i geni sono d’accordo almeno su una cosa: i mammiferi stavano cominciando a entrare in scena proprio intorno al periodo dei morganocudonti. Il loro minuscolo osso mascellare lungo circa 2,5 centimetri mostra quanto era differente la forma mammifera dal mondo “gigante” dei rettili.

Le loro ossa mascellari stavano cominciando a fondersi in un pezzo solo. “Questo è molto differente dal rettile nel quale le mascelle si compongono di parecchie ossa”, dice il paleontologo Rich Cifelli del Museo di Storia Naturale dell’Oklahoma, Sam Noble. “Le ossa dei mammiferi moderni sono arretrate per trasformarsi nelle piccole ossa dell'orecchio medio. Ecco perché i mammiferi sentono molto meglio dei rettili”.

La separazione tra la mascella e le ossa dell’orecchio ha consentito ai teschi dei mammiferi più evoluti di allargarsi lateralmente e all'indietro—permettendo agli stessi di sviluppare dei cervelli più grandi. I denti del morganocudonte erano un'altra innovazione importante che sarebbe migliorata nei mammiferi successivi. I molari superiori e inferiori delle ossa mascellari dei morganocudonti si sono uniti, permettendogli di affettare il cibo, da quale hanno tratto più calorie e più sostanze nutrienti.

"I rettili non tagliano il loro cibo", dice Cifelli. "Afferrano ed ingoiano. Ma questi piccoli individui erano così attivi che hanno dovuto prendere ogni caloria che potevano da ciò che mangiavano. Più potevano masticare il cibo, più energia ne ricavavano".

Gli scienziati credono che le ghiandole mammarie siano nate come le ghiandole sudoripare alle basi di capelli. Sia le ghiandole sudoripare sia quelle mammarie producono acqua, sali e proteine, tutto ciò di cui ha bisogno un neonato per sopravvivere.

L'ornitorinco Australiano ci dà una visione di come quelle ghiandole primitive mammarie abbiano lavorato. L'ornitorinco e il formichiere spinoso sono i soli esempi che sopravvivono di un sottogruppo mammifero chiamato Monotremes.

"La femmina di ornitorinco non ha i capezzoli," spiega Peter Temple-Smith, uno specialista di ornitorinco presso lo Zoo di Melbourne. "Piuttosto, c'è una regione dove i condotti del latte si uniscono e secernono latte, posta sopra i capelli. I giovani quindi leccano e succhiano il latte dai capelli".

I capezzoli, che concentrano i condotti lattiferi, sono apparsi in origine probabilmente col ramo di mammiferi conosciuto come marsupiale — un gruppo che include canguri, koala e opossum". Il vantaggio dei capezzoli è che dà ai cuccioli qualcosa a cui attaccarsi," dice Temple-Smith. "La madre marsupiale può continuare quindi a muoversi e nutrirsi liberamente, portando il suo piccolo dovunque va, nel suo sacchetto".

Di nuovo sul Serengeti, osserviamo come nei mammiferi è sviluppata la cura materna. Uno Gnu neonato sta in piedi tra le gambe di sua madre, la sua pelle è ancora bagnata dalla nascita. All'improvviso l'aria si riempie delle urla di avvoltoi. Scendono in picchiata e con i loro becchi feroci iniziano a strappare la placenta rimasta poco lontano. La madre Gnu alza la testa. Il loro arrivo ha avvisato ogni “spazzino” per chilometri che c'è giovane carne fresca e la mamma gnu esorta il suo piccolo a correre il più veloce possibile, per quanto le sue gracili zampette lo permettano.

“Si sta comportando da brava madre” dice Moehlman, il biologo della fauna selvatica. “Se non fosse una buona mamma la sua stirpe morirebbe. Questa è la cosa più importante nell’essere un mammifero” .
La placenta insanguinata dello Gnu, che gli uccelli spazzini lacerano aggressivamente, illustra l'investimento fisico che le madri mammifere avanzate fanno sui propri piccoli. Metabolicamente parlando, la placenta è molto costosa per la madre. Eppure è inestimabile. Non solo nutre il feto nell'utero ma isola il feto in via di sviluppo dal sistema immunitario della madre. Altrimenti, le sue cellule immuni attaccherebbero il feto come un corpo estraneo, dopo tutto metà dei suoi geni vengono dal padre.



I rettili e gli uccelli evitano l'attacco del sistema immunitario circondando il feto in un guscio d'uovo ed espellendolo dal corpo. Anche i Monotremes come l'ornitorinco fanno le uova. Ed i marsupiali risolvono il problema dell’immunità partorendo i loro embrioni prematuramente.

Recenti studi sul DNA suggeriscono che i mammiferi placentari hanno cominciato a divergere dai marsupiali 175 milioni di anni fa. Finora, i fossili non lo hanno dimostrato, forse perché i paleontologi che a tutt'oggi hanno cercato di provare la scissione tra le due specie hanno potuto lavorare solo con piccoli denti e denti mascellari. Le principali differenze tra placentari e marsupiali si trovano nell'apparato genitale — che non lascia molte prove fossili. Ma un nuovo fossile spettacolare completo di una specie proto placentare, trovato nella provincia cinese del Liaoning, ha dato una prova concreta che rafforza le rivendicazioni dei ricercatori del DNA. Quella, cioè, che i placentari cominciarono la loro evoluzione molto prima di quanto ritenuto in precedenza. "Questa è la madre di tutti i mammiferi placentari," dice Zhe-Xi Luo, un paleontologo presso il Museo di Scienze Naturali Carnegie di Pittsburgh, presentando orgogliosamente un fossile che assomiglia ad un topo schiacciato con il muso lungo. Si è così ben conservato che parte del suo pelo rimane visibile. "Lo chiamiamo Eomaia scansoria,che significa Alba Madre in greco".

Luo ed i suoi colleghi stimano l'età del fossile a 125 milioni anni e hanno trovato gli indicatori anatomici che suggeriscono che Eomaia, anche se non completamente placentare, era sulla buona strada per diventarlo. Il fatto che lo sviluppo placentare fosse datato a ben oltre 125 milioni d’anni fa, rende più facile per i paleontologi accettare la prova genetica che data l’inizio dell’e voluzione dei primi proto-placentali a 50 milioni di anni prima.

L'aspetto da topo di Eomaia gli rende un premio abbastanza modesto per gli odierni standard mammiferi, ma la piccola creatura ha avuto un ruolo chiave nell’onda dell’evoluzione mammifera che era iniziata con i morganocudonti. La progenie placentare di Eomaia ha rappresentato un salto enorme, aprendo molteplici opzioni evolutive. Per esempio, i marsupiali sviluppano presto i loro arti anteriori per risalire il marsupio. Ma i tempi supplementari dei placentali nell'utero permettono specializzazioni quali l'ala del pipistrello e l'aletta della foca. La placenta inoltre trasporta molto più efficientemente le sostanze nutrienti delle condotte del latte. Di conseguenza, i neonati placentari si sviluppano più velocemente nell'utero e sono più maturi quando l’a bbandonano.

Per queste ragioni, la maggior parte dei scienziati considera la strategia del sacchetto arcaica e forse inferiore, evidenziando che i mammiferi placentari hanno dominato la maggior parte del mondo negli ultimi 65 milioni di anni. Comunque, ci sono alcuni dissidenti. Renfree Mary, uno specialista marsupiale all'Università di Melbourne, dice che, parlando biologicamente, "il marsupiale è valido quanto altri mammiferi e in alcuni aspetti anche superiore". Il marsupiale ad esempio ha degli indici metabolici più bassi e può sopravvivere quindi in una più ampia gamma di condizioni.

Mike Archer, il direttore del Museo Australiano, crede anche che il sacchetto abbia i suoi vantaggi. "Per i marsupiali esiste la possibilità di essere, diciamo, un po' incinta”, dice. Dopo aver avuto due uova fecondate, una madre di canguro potrebbe trovarsi solo un uovo completamente sviluppato. Nel caso il cibo o l'acqua scarseggino e il primogenito muoia, l'embrione di riserva si sviluppa non appena le condizioni migliorano. In terre aride come l’ Australia, questa può essere la migliore strategia per gravidanze soggette a tali condizioni.
Ma il marsupiale rimane meno comune di molti altri mammiferi. Gli opossum e altri marsupiali esistono al Nord e in Sudamerica, ma l’A ustralia è il solo continente dove il marsupiale e il monotremes sono ancora dominanti.
I canguro, i koala, gli ornitorinchi ed i vombati: Perché l'Australia conserva questi mammiferi apparentemente fuori dal tempo? Secondo il modello di Sherwin-Williams, i marsupiali, mammiferi evolutisi 100 milioni di anni fa, migrarono in Gondwana prima dei placentali.

Si sono semplicemente trasferiti sul blocco antartico-Australiano prima del suo distacco dal Gondwana. I placentali sono arrivati troppo tardi, la nave Australiana era già salpata. Questa teoria ha avuto molto seguito fino alla fine degli anni ‘90, fino alla rilevazione di alcuni fossili che hanno iniziato a spuntare fuori in varie parti del vecchio Gondwana: Patagonia, Madagascar e Australia. La nuova prova, ancora una volta, è arrivata in forma di ossa mascellari e denti, un tipo particolare conosciuto come molare tribosfenico. Tali denti lavorano come pestello e mortaio, un miglioramento ulteriore rispetto ai denti che affettavano, quelli dei precedenti mammiferi.

L'antenato dei marsupiali e placentali ha avuto i denti di tipo tribosfenici. Così la scoperta nell'Emisfero Meridionale di denti tribosfenici vecchi 167 milioni di anni o di 25 milioni di anni più vecchi trovati nel nord, complica il modello nord-sud. Alcuni spiegano la presenza di questi denti tribosfenici meridionali supponendo che dovettero svilupparsi in modo indipendente in entrambi gli emisferi. Altri dicono che l'innovazione era troppo complessa per svilupparsi due volte e che i primi mammiferi dovettero evolversi a sud, e solo in seguito le generazioni successive migrarono verso nord. "È bene ricordare che gli elementi di prova sono ancora sottili," dice Rich Cifelli del Museo di Storia Naturale dell’Oklahoma. "Mi piace dire che chi sostiene fortemente una delle due teorie sia folle o abbia di se stesso un’a utostima esagerata."



La controversia sul molare tribosfenico diventa anche più profonda in Australia, dove il team composto dai coniugi Tom Rich del Museo di Victoria e Pat Vickers-Rich dell’Università di Monash ha presentato tre mammiferi diversi con i denti tribosfenici che retrodata di 110 milioni di anni. I Rich dicono che questi mammiferi non erano semplicemente sulla buona strada per divenire placentali, ma erano placentali a tutti gli effetti, qualcosa di simile al riccio.

Gli avversari della teoria dei Rich ribattono che non si è mai creduto che i placentali, e certamente non i ricci relativamente avanzati, potessero trovarsi in un qualunque posto vicino all’A ustralia in quell’era.
Eomaia, che era il precursore dei placentali, ha vissuto in Asia. Se i Rich avessero ragione dovremmo ripensare a come i placentali abbiano viaggiato dall’Asia all'Emisfero Meridionale. Piuttosto che viaggiare verso le Americhe, Eomaia potrebbe aver trovato un ponte,ovvero una scorciatoia, per giungere in Australia. O forse i placentali erano diffusi molto prima di quanto pensiamo ora, e semplicemente non è rimasta alcuna traccia di loro. Avrebbero potuto provenire anche da Gondwana ed essersi diffusi da lì. I placentali, suggeriscono i Rich, potrebbero essersi anche estinti con i dinosauri in Australia, facendo spazio ai marsupiali.

Rich ammette che, "le idee più radicali sono probabilmente errate. È saggio utilizzare tali teorie con prudenza".
Anche più radicale per molti paleontologi è stato il confronto tra la teoria delle zolle tettoniche e l'albero genealogico dei placentali proposto da Mark Springer, genetista dell’ evoluzione, e dai suoi colleghi. Springer era dalla parte di una nuova generazione di ricercatori che esaminano il DNA dell'animale piuttosto che ripulire fossili in uno scavo. Questi biologi molecolari leggono le sequenze di geni nel DNA dell'animale vivente come un libro di storia. Gli scienziati poi possono determinare attentamente come questi animali siano raccontati geneticamente e quanto tempo fa i loro antenati si siano differenziati.

La lettura di Springer della storia genetica dei mammiferi risulta controversa per i paleontologi, mentre ben si adatta a ciò che i geologi oggi riconoscono come la rottura e il successivo movimento dei vecchi continenti. Il più antico gruppo di mammiferi placentari vivente, secondo Springer e i suoi colleghi, è sorto in Africa, appena prima che il continente finisse di staccarsi, allontanandosi dal resto del Gondwana, circa 110 milioni di anni fa. Springer chiama questi animali afroteri. Essi comprendono gli elefanti, gli oritteropi, i lamantini e gli iraci. Quando l'Africa è andata alla deriva,ha portato con sé questi animali che si sono evoluti per conto proprio per decine di milioni di anni.

L'annotazione fossile per l'Africa di questo periodo è quasi assente. Tuttavia, Emmanuel Gheerbrant, un ricercatore del centro nazionale per la ricerca scientifica in Francia, avanza l’ipotesi che l'Africa “deve essere stato un laboratorio per animali molto originali”.

Una specie che Gheerbrant ha scoperto in Africa, di questo periodo, è il proboscidate ritenuto attualmente il membro più anziano e più primitivo del gruppo degli elefanti. Il fossile del Phosphatherium escuilliei, vecchio di 55 milioni di anni, è stato scoperto nel Marocco. Delle dimensioni di una volpe, e sebbene mancasse di proboscide, presenta in maniera sconvolgente molte caratteristiche dentarie e craniche comuni agli elefanti moderni. I paleontologi hanno a lungo pensato che gli elefanti fossero uno dei più giovani gruppi moderni, evolutisi dagli ungulati provenienti dall’Asia. Ma il fossile di Gheerbrant, come da prova genetica, suggerisce che i proboscidati siano in effetti uno dei più vecchi mammiferi moderni della specie degli ungulati.

Una delle poche regioni ricche di reperti fossili - la depressione africana del Faiyûm in Egitto - ha portato alla luce non solo questi elefanti ma anche un assortimento sconosciuto di iraci. Oggi gli iraci somigliano ai maialini della Guinea. Ma 35 milioni d’anni fa gli iraci avevano svariate forme. Alcuni erano della dimensione dei rinoceronti, altri avevano gambe lunghe come gazzelle.

La maggior parte dei mammiferi sulla zolla africana ha cominciato a scomparire circa 20 milioni di anni fa, dopo che l'Africa si è ricongiunta al continente Euroasiatico. Ma l'Africa non era l'unica zolla. Per milioni di anni un'antica via di navigazione ha diviso l’ Eurasia dall’America del Nord, mentre il Sudamerica diventava l’h abitat per quel gruppo di mammiferi placentari che il genetista Springer chiama Xenarthra. I dati fossili del Sud America durante il suo isolamento sono superiori a quelli africani e includono xenarthrans, bradipi, armadilli e formichieri. I dati di Springer, in altre parole, indicano che l'antenato comune più recente dei mammiferi placentari visse nel Gondwana. Contrariamente a più di un secolo di sciovinismo del Nord, ai continenti settentrionali appartengono i mammiferi placentari più giovani. Un gruppo, i laurasiateri, include foche, mucche, cavalli, balene e porcospini. L'altro gruppo, il superordine degli euarchontoglires, comprende roditori, le tupaie, le scimmie e gli esseri umani. Queste scoperte genetiche semplicemente rivelano chi è venuto prima.

Ridefiniscono inoltre i rapporti tra i mammiferi placentari. Ad esempio gli anatomisti hanno sempre pensato che i pipistrelli appartenessero allo stesso superordine delle tupaie, dei lemuri volanti e dei primati. Ma i dati genetici collocano i pipistrelli con le mucche, i maiali, i gatti, i cavalli e le balene.

Ulteriori i dati mostrano che questi superordini di mammiferi viventi hanno cominciato a diversificarsi molto prima di quanto suggerisca l’annotazione dei fossili. Ciò che si ottiene dal fossile è un’informazione sulla forma di un animale. Ma i genetisti sostengono che i geni dei mitocondri di un organismo, ovvero le parti di una cellula che vengono utilizzate per tracciare i lignaggi, possano evolversi rapidamente senza cambiare ciò che resta nelle tracce dei fossili. "La forma di un animale può essere fortemente pregiudicata dal suo ambiente," dice Úlfur Érnason, un genetista presso l'Università di Lund in Svezia. "I coccodrilli non sono cambiati molto fisicamente in 250 milioni di anni, eppure hanno un alto tasso di cambiamento nel loro DNA mitocondriale. Gli uccelli hanno un ritmo evolutivo lento, eppure possono evolvere fisicamente molto rapidamente." Per quanto sorprendenti le richieste dei genetisti possano apparire a prima vista, i paleontologi ed i ricercatori del DNA stanno capendo che le loro teorie possono essere complementari. Alcuni eccezionali ritrovamenti fossili hanno confermato teorie, in precedenza controverse, sul DNA trovato nelle balene. La maggior parte dei paleontologi infatti, a lungo ha ritenuto che balene e delfini (cetacei quindi) discendessero da una linea estinta di mammiferi carnivori divenuta acquatica tra 45 e 50 milioni di anni fa, per ragioni sconosciute.

Al momento della scoperta di questi fossili, i biologi molecolari, effettuando nuove ricerche sul DNA hanno indicato come i cetacei siano strettamente collegati con gli artiodattili, un ordine che include anche ungulati come maiali, cammelli, cervi e ippopotami. I paleontologi hanno respinto questa connessione improbabile in primo luogo perché non supportata dai dati forniti dai fossili. Poi nel settembre 2001 due squadre di studiosi di fossili hanno pubblicato i ritrovamenti che sostengono le tesi ed i reclami dei biologi. Un gruppo guidato da Hans Thewissen dell'istituto universitario di Medicina del nordest dell'Ohio ha trovato due specie di balene già conosciute precedentemente da ritrovamenti risalenti a 50 milioni di anni fa, in Pakistan. Entrambe presentavano ossa dell'orecchio, un’esclusiva delle balene, ma anche gambe e ossa delle caviglie, tipiche degli artiodattili. Thewissen riferisce: "le balene, in origine, si è scoperto, erano animali completamente terrestri ed anche buoni corridori".

Quasi contemporaneamente, un gruppo dall'Università del Michigan, guidato da Philip Gingerich, ha annunciato il ritrovamento di fossili simili nel Pakistan, che presentavano gli stessi tratti doppi. La transizione evolutiva tra i principali gruppi di mammiferi raramente è illustrata in modo chiaro. E nessun’altra scoperta ha collegato con precisione i fossili a risultati provenienti dal DNA. Fino a 65 milioni di anni fa i dinosauri dominavano la terra. Gli oceani pullulavano di enormi squali e voraci rettili marini. I dinosauri e altri grandi predatori occuparono le nicchie evolutive più ricche e più ovvie, mantenendo i mammiferi ai margini. Poi si è verificato un evento la cui portata è ancora difficile da comprendere. Si è schiantato un bolide di circa 9,5 km vicino alla penisola dello Yucatan odierna, creando un cratere di 110 km. Quell'impatto potrebbe essere stato uno dei tanti avvenuti nei successivi centomila anni, ciascuno aggiungendo distruzione ai precedenti. Il solo danno provocato dall'impatto dello Yucatan è impressionante: tsunami alti 150 metri hanno colpito il Nord America. La temperatura ha raggiunto i 260 gradi in alcune parti del mondo.

"Tutto ciò che era grande aveva fatto il suo tempo," dice Kirk Johnson del Denver Museum of Science & Nature. "La chiave della sopravvivenza era nell’essere piccoli". I mammiferi erano della giusta misura. Essi si sono trovati improvvisamente in un mondo senza grandi carnivori. Non c’erano più restrizioni. Entro 270.000 anni si sarebbero diversificati e sarebbero divenuti più grandi.

Tuttavia, la maggioranza di mammiferi non è divenuta molto più grande di un maiale fino all'era dell’Eocene, che è iniziata circa 55 milioni di anni fa. Poi un aumento rapido della temperatura globale ha incoraggiato lo sviluppo di foreste su tutto il pianeta, anche vicino ai poli. Quest'abbondanza di vegetazione,molto ricca, ha fornito ai mammiferi un numero maggiore di nicchie ecologiche da esplorare.

Le diversità tra i mammiferi sono aumentate. Uno dei nuovi arrivati, a giudicare dalle testimonianze fossili, è stato proprio il nostro ordine, i primati. I primi esempi di primati appartenevano al ramo lemuri. Oggi i lemuri si limitano all'isola del Madagascar, dove la specie è giunta dall’Africa forse 50 milioni di anni fa, probabilmente su zattere di detriti spinte dal vento.

Pochi milioni di anni più tardi, esempi di primati più avanzati appaiono tra i fossili dell'Asia orientale. Questi primati superiori sono antropoidi, le scimmie e gli stessi esseri umani. Chris Beard, studioso delle origini dei primati presso il Museo Carnegie di Storia Naturale, ha messo in luce in Cina ciò che può essere considerato il primo esempio di primate, chiamato Eosimias. Questa creatura si è evoluta nel medio Eocene mentre il mondo attraversava una fase di raffreddamento, concentrandosi nelle zone interne, dove abbondavano foreste lussureggianti.

Beard dice che "deve essere stato frenetico per gli animali piccoli. Qualcosa di simile ad un’intossicazione. Probabilmente, hanno mangiato tutto il tempo. Quando si è piccoli, è necessario. Essi probabilmente vivevano in gruppi e forse non hanno mai lasciato l'albero dove sono nati." Nonostante la sua anatomia primitiva, l’Eosimias aveva già adottato l'abitudine, simile alla scimmia, di camminare lungo le cime dei rami, piuttosto che di tuffarsi da albero ad albero come i primati precedenti. Le scimmie si sono evolute, divenendo più intelligenti, più grandi e aggressive, circa 34 milioni di anni fa. La depressione del Faiyûm, dove Elwyn Simons della Duke University ha realizzato scavi sin dal 1961, rivela fossili in grado di provare come stavano cambiando gli antropoidi.

Il Catopiteco, uno dei molti antropoidi scoperto dalla squadra di Simons, ha un cranio delle dimensioni di una piccola scimmia, un viso relativamente piatto, e presenta un recinto osseo nella parte posteriore del suo occhio. È il primo antropoide a mostrare la stessa disposizione di denti degli esseri umani, due incisivi, un canino, due premolari e tre molari e ciò porta Simons ad affermare: "Questo è il primo capitolo della storia umana".

All'inizio dell'epoca del Miocene da 23,5 a 5,3 milioni di anni fa, un altro importante cambiamento climatico si è verificato. Il mondo è stato nuovamente riscaldato e quindi possono essere emersi differenti modelli stagionali climatici. A latitudini più alte, le foreste gradualmente hanno lasciato lo spazio a prati, pascoli e savane. Poichè l'erba è abrasiva, alcuni mammiferi hanno sviluppato nuove dentizioni. I cavalli, ad esempio, all’inizio mangiavano poche foglie nelle foreste, ma successivamente hanno sviluppato molari che sono molto più adatti a mangiare l'erba.

Le corone dentali dei cavalli si sviluppavano dalle ossa mascellari. Man mano che cadevano lasciavano lo spazio a nuove corone che andavano a sostituirle. Nelle prime fasi del Miocene, il lungo isolamento dell'Africa si è concluso quando questa,assieme all’Arabia, è tornata in contatto con l'Eurasia. Ecco come gli antenati di molti mammiferi africani a lungo ritenuti nativi di questo continente, sono realmente giunti in Africa. All’inizio furono gli antenati di antilopi, gatti, giraffe, rinoceronti. Più tardi, circa dieci milioni di anni fa, mammiferi nord americani come i cammelli, cavalli e cani, cominciarono ad arrivare. Quasi tutti gli animali che girovagano nel Serengeti, oggi sono relativamente nuovi venuti nel continente. L’Africa ricambiò il favore. Le scimmie si spostarono in Eurasia e lì si svilupparono. Gli elefanti e i loro parenti si diffusero in tutto il mondo, spingendosi fino in Patagonia.

Ma con la conclusione del Miocene la geologia e il clima hanno modificato il mondo ancora una volta per i mammiferi. La Terra ha sviluppato un clima più freddo e più secco. Sono sorte le calotte polari nell'Artico. Il deserto del Sahara ha iniziato a prendere il sopravvento nell’Africa del Nord e le savane si sono estese attraverso buona parte del continente.

Il clima in fase di cambiamento ha circoscritto i primati nella zona equatoriale. Le scimmie sopravvissute sono divenute più grandi e più evolute. Poi, circa sette milioni di anni fa, un essere derivato delle scimmie africane ha iniziato a camminare su due gambe.

Quella scimmia bipede si è sviluppata in ciò che è divenuto l’uomo, mentre altri mammiferi si sono estinti. La maggior parte ha dovuto adattarsi ancora un'altra volta, per via di un cambiamento climatico globale innescatosi, circa 2,5 milioni di anni fa, con la formazione dell'Istmo di Panama. Questo ha bloccato la circolazione degli oceani e ha incoraggiato la Corrente del Golfo a svilupparsi sempre più forte. Poiché la Corrente del Golfo ha pompato l'acqua più calda più vicino al Polo nord, la precipitazione è aumentata. Le nevi pesanti sono diventate dei ghiacciai dalla coltre spessa tre chilometri, che è avanzata e si è ritirata in un lasso di tempo superiore a 20 ere glaciali. Perché i corpi grandi trattengono meglio il calore, molti mammiferi, come il mammut, sono divenuti più grandi. Anche nelle zone temperate dell’Australia, gli animali sono diventati immensi. L'Australia divenne presto l’habitat di canguri, grandi carnivori, vombati e leoni marsupiali due volte più grandi di un leopardo.
"Era un grande predatore" dice il paleontologo Steve Wroe dell'Università di Sydney, mentre ammira il fossile di un teschio di leone marsupiale,lungo 30 centimetri, vecchio di 40.000 anni. "Questi denti grandi recidono in maniera estremamente precisa, l’a nimale si è quindi adattato come carnivoro, più di qualunque altro mammifero conosciuto". I denti, spiega Wroe, servono solo per la macelleria. L'animale morirebbe di fame in un negozio di frutta e verdura".

Quei grandi mammiferi, come il leone marsupiale e il canguro assassino, sono scomparsi tra i 100.000 e i 20.000 anni fa. Poco controversie rabbia più ferocemente nella paleontologia di perché il megafauna è svanito, non solo in Australia ma anche in America del Nord, dove i mammut, i cavalli, i cammelli e dozzine di altri grandi mammiferi dell’ Era Glaciale si sono tutti estinti circa 11.000 anni fa. Molti scienziati incolpano il cambiamento climatico. Altri dicono che l’estinzione dei grandi mammiferi è dovuta agli esseri umani, suggerendo che fu proprio l’Homo Sapiens, arrivato per ultimo, a sterminare i giganti con le sue lance.

E’ un dato incerto,noi esseri umani potremo pur aver sterminato i giganteschi mammiferi dell'era glaciale, ma è sicuro che oggi minacciamo innumerevoli specie, poiché ci allarghiamo più che mai nei loro habitat. I segni di questa violazione appaiono in tutto il mondo. I lamantini in Florida sono spesso trinciati dalle eliche delle barche. I rinoceronti nel Cratere di Ngorongoro è cacciato di frodo. Le vaste foreste pluviali in Sud Est Asiatico sono distrutte. Tutto ciò è compiuto dal più intelligente dei mammiferi. L'evoluzione ci ha donato, l’intelligenza, ma siamo troppo intelligenti per realizzare qualcosa di buono? Se in qualche modo potessimo tornare all'alba dei tempi, agli antropoidi, sceglieremmo forse una strada diversa?

Una risposta risiede a circa 8.000 chilometri dallo spettacolo vibrante del mammifero del Serengeti, nelle foreste pluviali dell’I ndonesia, in Borneo e nelle Filippine. Vive lì il Tarsio, che Beard del Museo Carnegie cita come un esempio di deviazione dal processo evolutivo dei primati. "Il Tarsio è molto strano," dice Beard, "può girare la testa di 270 gradi. E’ la versione primate di un gufo. Ma è l’essere vivente più vicino ai primati evoluti".
Il Tarsio condivide un antenato con tutti gli antropoidi. Lo sappiamo perché come tutti i più primati superiori, al tarsio manca il “tappeto lucido”,lo strato riflessivo tipico degli occhi degli animali notturni. Il “tappeto lucido” è fondamentale per la visione nei livelli bassi leggeri ed è ciò che fa brillare gli occhi delle creature notturne quando una torcia li illumina.



Diversamente dalla maggior parte dei suoi parenti antropoidi, il tarsio si è adattato a un modo di vivere notturno al punto di dover compensare, sviluppando occhi enormi, sinistri. Accendete una torcia e illuminate gli occhi di un lemure di notte, e questi rifletteranno la luce. Quelli di un tarsio non lo faranno. Per gli esseri umani, il tarsio rappresenta ciò che potrebbe essere divenuto l’uomo. Ma proprio per colpa nostra, oggi i tarsi sono difficili da trovare. La ricerca,così come lo sviluppo e la distruzione delle foreste pluviali hanno compresso l'habitat dei tarsi.
In Borneo, dove il tarsio è ritenuto portatore di sfortuna, pochi abitanti del villaggio si preoccupano della sua sorte. "Se vedo un tarsio, vado a casa," dice un abitante del villaggio in Kampung Duras in Sarawak. Un altro locale, Lemon Ales, ne conviene.

"Spaventano delle persone a causa dei loro occhi grandi. Possono anche saltare addosso e mordere".
Altri abitanti del villaggio considerano il tarsio come un totem, perché queste piccole agili creature sono viste a volte nelle risaie arrampicate sui gambi di riso, come per custodirli.

Io e Lemon ci dirigiamo nella foresta al crepuscolo. Il mondo doveva somigliare a questo nell'eocene, mentre si sviluppavano i primati. La foresta è piena degli stessi tipi di alberi da frutta che ha aiutato i primati a prosperare nelle vaste foreste diffondendosi poi in tutto il mondo. L'aria pesante sembra immettere umidità nella mia pelle e i miei pori rispondono emettendo nuovamente sudore. Con le torce inciampiamo per diverse ore nel buio. I tarsi non si mostrano. O forse lo fanno, ma gli abitanti del luogo ci hanno avvertito, se le creature non si muovono, noi non li vediamo.

Lo zoo di Singapore assicura che i suoi clienti non saranno delusi allo stesso modo. Il tarsi sono dietro un muro di vetro, in una foresta finta". Solo sei zoo al mondo hanno il tarsio" dice C. S. Menon, un ufficiale addetto alla gestione degli animali. "Di solito si stressano e muoiono in cattività". I visitatori curiosi, spesso importuni, chiacchierano in lingue che vanno dall’ olandese all’h indi, al giapponese, mentre attendono di imbarcarsi sui tram dello zoo che li porteranno a vedere ciò che pochi riescono ad osservare di notte nella natura selvaggia.
Molti scendono dal tram, si fermano per un momento alla vista del tarsio e poi proseguono. Avviene anche qui, nelle migliori condizioni notturne, sotto la luce simulata di una luna piena: il tarsio è difficile distinguere. Provo a essere paziente.

Finalmente, come un fulmine, un tarsio schizza fuori dal nulla per afferrare un grillo con entrambe le zampe ed atterra con grazia su un ramo magro. Siede dritto, sgranocchiando e ruotando la sua piccola testa in un giro impossibile. Non si possono osservare gli occhi grandi del nostro ‘lontano parente’ senza restare impressionati nel percepire la distanza intercorsa tra noi. La nostra intelligenza può causare pericoli mortali alla flora e fauna selvatiche del mondo e a noi stessi, ma sa anche stupirci. E preoccuparci. La giuria tuttavia è ancora riunita per deliberare su dove tutto ciò ci porterà. Più veloce della luce, il tarsio scompare.

                                                                           


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